Eliseo Terzo

Sono sempre stato una persona attiva; lavoro nella mia azienda agricola e coltivo degli hobby, canto nel coro della chiesa parrocchiale e suono la tromba nella banda cittadina.

Tutto questo procede normalmente fino a quando nel 1981 cominciano a farsi notare alcuni problemi di salute, che a mano a mano vanno aggravandosi.
Dall’inverno 84-85 numerosi ricoveri all’ospedale fanno sì che la mia “normale” esistenza subisca un mutamento.

Il lavoro, a causa delle mie condizioni fisiche, è saltuario e questo aumentano le preoccupazioni anche per la situazione economica familiare. Le figlie sono ancora giovani da essere impegnate nello studio e la moglie lavora per tre ore giornaliere.

Con il passare del tempo, la situazione a livello fisico è peggiorata a tal punto che è compromessa anche la normale attività cardiaca. Mi viene diagnosticata una “miocardiopatia dilatativa” malattia fino allora non troppo conosciuta, che mi è spiegata a grandi linee. Quello che comprendo subito è che il mio cuore si è ingrossato smisuratamente.
Vengo dimesso e considerato totalmente inabile al lavoro ed ottengo la pensione.
Tutto questo comporta che a 45 anni io non accetto la situazione psicologicamente e che devo affrontare delle crisi, anche a livello respiratorio. A peggiorare la situazione contribuisce anche la mia voglia di sentirmi ancora attivo e non in grado di pormi dei limiti.

Devo però ben presto imparare a convivere con la malattia che mi porta successivamente a degli scompensi cardiaci con conseguenti nuovi ricoveri. Ogni normale attività come scendere o salire le scale, mangiare e prendermi cura di me stesso diventa sempre più difficoltosa.

L’appetito manca da molto e dormire è ormai una cosa in pratica impossibile, considerando che devo coricarmi in posizione seduta o semiseduta, per respirare un po’, svegliandomi con abbondanti sudorazioni.
La situazione precipita velocemente e anche a livello renale iniziano i problemi facendosi evidenti le ritenzioni idriche.
L’équipe medica vede come unica possibilità di salvezza il trapianto cardiaco.
Personalmente non ho sentito parlare di questa tecnica, e tutto ciò mi lascia perplesso e con molte paure, ma in ogni modo disposto ad affrontare quest’intervento. Spero perlomeno che questo serva ad alleviare, almeno in parte, le mie sofferenze e quelle dei miei familiari.

Sempre vicine nei momenti più critici, sono la moglie e le figlie, pronte ad aiutarmi in tutto quello che oramai non posso più fare, soprattutto nelle interminabili ore notturne.
Grazie anche all’interessamento dei cognati Ermenegildo Colombo e moglie e Armando Colombo è possibile una visita all’ospedale civile di Padova, con conseguente ricovero e trasferimento diretto all’ospedale di Thiene.

È il Luglio 1987 quando vengo ricoverato in un reparto specifico, questo mi dà la forza di superare i momenti di grande sconforto e la mancanza di speranza e volontà di combattere che continuamente incontro. Tocco con mano una nuova realtà, attorno a me medici ed infermieri con professionalità, esperienza, bontà d’animo e umanità, inoltre un grande aiuto mi viene dai cardiotrapiantati che mi danno coraggio e sostegno.

Per le mie condizioni fisiche, ora non sono in grado di affrontare un trapianto, sono notevolmente debilitato, vengo quindi seguito da un’équipe medica che lavora per portarmi ad una situazione fisica accettabile. Sono sottoposto a vari esami, tra questi il cateterismo, un operazione alquanto pericolosa per un soggetto con un quadro clinico compromesso come il mio. In seguito a tale intervento perdo conoscenza e vengo trasferito al reparto “cure intensive”, miracolosamente supero questa nuova crisi ed inizio a riprendermi, passo passo inizio ad alimentarmi un po’ e a camminare nuovamente.
Una lenta ripresa mi porta ad essere in grado di affrontare l’intervento.

Viene fortunatamente trovato un cuore compatibile ma, durante l’espianto, sorgono delle complicazioni, che non permettono di dare seguito alla generosità espressa dai familiari di questa ragazza, sfortunatamente deceduta alle porte di Padova.

Vengo quindi dimesso previo rilevanti raccomandazioni e, a distanza di 15 giorni dal mancato trapianto vengo avvisato telefonicamente di una seconda possibilità.
Il 21 Settembre 1987, vengo urgentemente accompagnato dalla moglie e da una figlia all’ospedale, mentre l’altra è reperibile in casa.
Inizia quindi la preparazione del caso che mi porterà a poter subire il trapianto durante la nottata.
Vivo questi momenti d’attesa, con una naturale e comprensibile paura, ma anche con coraggio, serenità e fiducia, sostenuto non solo dalla presenza dei familiari, ma anche dalla disponibilità d’animo di tutte le figure professionali.

Mi vengono riferite le prime notizie sulla persona a cui apparteneva il cuore. Ora ricomincerò a vivere grazie alla generosità di Stefano Tramontin, un ragazzo non ancora diciottenne di Pordenone, sfortunatamente deceduto in un incidente stradale. La bontà d’animo dei suoi genitori e del fratello mi danno ora una nuova possibilità di ricominciare.
Entro in sala operatoria per le ultime preparazioni ancora cosciente, dopo aver salutato i familiari che già sono in sala d’aspetto.

Il cuore giunge più tardi direttamente da Udine in elicottero, trasportato in ambulanza e scortato dalla Polizia.
L’operazione brillantemente eseguita dal proff. Gallucci finisce in circa 4 ore.
Vengo trasferito in rianimazione dove, dopo 24 ore, posso vedere, attraverso i vetri, i miei familiari.

Già fin dai primi battiti del mio nuovo cuore mi sento meglio e il quadro clinico è positivo. Inizia ora la convalescenza e una nuova vita, mentre sono ancora assistito notte e giorno dalla moglie.
Dopo circa 22 giorni posso rientrare a casa, dove tutto ora ha una dimensione diversa.

Sicuramente questa è stata un’esperienza che ha lasciato nella mia famiglia dei segni indelebili. Abbiamo vissuto assieme dei momenti di grande sofferenza, ma anche di gioia indescrivibile e di coraggio.
Mi è ora definitivamente data l’opportunità di riprendere con un nuovo lavoro, di suonare ancora nella banda musicale, ma soprattutto di conoscere e di potermi occupare, anche se in modo saltuario, delle mie piccole nipotine Nicole e Giorgia.

In poche parole ho ricominciato a vivere come prima, forse anche meglio perché adesso so apprezzare tutto quello che mi viene dato anche le più piccole cose.

Desidero rivolgere un pensiero particolare al prof. Gallucci, a tutto il personale medico, paramedico ed infermieristico. All’A.I.D.O., A.D.M.O., A.V.I.S., e a tutte quelle associazioni ed organizzazioni che operano in nome della solidarietà e umanità, e a tutti voi che vi siete resi disponibili ad ascoltare questa mia testimonianza.

Eliseo Terzo

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